mercoledì 21 novembre 2012

Pari opportunità e baby sitter

Io sono di sinistra e penso che essere di sinistra significhi dare a tutti un’opportunità.
Non livellarli, ma lasciargli scegliere cosa vogliono essere. 
E se non hanno gli strumenti per farlo fornirli.
E’ la mobilità sociale l’indicatore che scelgo: un paese mi piace non quando un uomo riesce partendo dal basso ad arrivare al top, ma quando tutti possono provarci.
Tutti: uomini e donne. 
E senza rinunciare al resto.


Oggi in Italia questo non è possibile.
Come ho detto qualche mese fa ad un’iniziativa della CGIL,





Io, che da quando ho iniziato a lavorare ho avuto tutti i contratti possibili tranne l’indeterminato, non mi sento difesa da nessuno: né dal sindacato, che mi chiede di trovare il modo di dimostrare che sono una dipendente, né tra le partite iva cattive che non denunciano. Mi sento, e tanti con me, nel mezzo. 
Tra quelli che fanno lavori “strani”, nuove professioni che vivono fuori dalla logica capitale/lavoro come la intendevano i nostri genitori e i nostri nonni. Che magari non hanno orari fissi, ma non sono nemmeno veri liberi professionisti. Nuove professioni, spesso altamente qualificate, per cui servono risposte. Che hanno bisogno di qualcuno che se ne prenda cura.

Il sogno dell’operaio che vuole il figlio dottore rischia di infrangersi nel momento in cui quel figlio, che con tanti sacrifici è riuscito a laurearsi, deve scontrarsi con un ingresso nel mondo del lavoro, o con un lavoro stesso, fatto di pochissime tutele, in fatto di diritti sindacali, ma anche di welfare. E allora il problema diventa quello della mobilità sociale: alla precarietà senza tutele resiste solo chi ha le spalle coperte, o chi sceglie di dedicarsi solo al lavoro, di non uscire di casa, di rimanere figlio. 
E per noi donne il problema è più drammatico, perché la scelta la viviamo sul nostro corpo: il corpo delle donne a cui è chiesto di scegliere tra il sogno del lavoro che piace e la maternità. Fermo restando la libera scelta e il diritto a non voler essere madre, ci è chiesto di scegliere. 
Io mi sono rifiutata di farlo, ho scommesso, ci ho provato: il lavoro che mi piaceva e la voglia di un figlio. Il momento più duro è stata la sensazione di solitudine, una pancia enorme, un dottorato da portare avanti, contratti cococo, e nessuna risposta. 
Oggi sono di nuovo qui, partita iva, a scoprire per caso che noi non abbiamo i congedi parentali, unica categoria che paga l’inps e non li ha. In pratica noi paghiamo l’inps per avere i congedi e non ce li danno
Ma quel che fa più male è che nessuno ad oggi ne abbia mai parlato. Si parla di tempo per le donne e di quote, ma credo i problemi siano altri, e per poterli affrontare servono nuovi strumenti, nuove sfide. Serve il coraggio di dire che alcuni strumenti oggi non vanno più bene: perché una commessa può lavorare 362 giorni all’anno per 24 ore al giorno e l’asilo a cui vorrebbe mandare suo figlio è aperto 200 giorni all’anno? Nel resto del tempo dove lo mette?
E' giusto dover dire, e lo dico, "per fortuna il nido del mio Comune è esternalizzato ad una cooperativa, almeno è aperto fino al 6 agosto?". E lo dico sapendo molto bene quali sono gli stipendi di chi lavora nelle cooperative che gestiscono questi servizi. Giusto perché metà del budget familiare viene da lì. Quello maschile, perché a noi piace ribaltare gli stereotipi. E a proposito di stereotipi come mai alle riunioni della scuola materna non ci sono i padri (nè, spesso, le madri), mentre a quelle del nido (esternalizzato) c'erano anche loro? Sarà perché erano dopo cena? Possibile che aprire una scuola materna dopo cena sia complicatissimo? 
Allora, invece di ridurre la questione femminile alle quote, non sarà il caso di andare oltre? Lo stato non può farsi carico di tutto? Forse. Ma le persone sanno organizzarsi: nascono imprese spontanee: potrà far ridere, ma dei padri fiorentini hanno da poco creato un sito, www.okbabysitter.com,  per mettere in contatto baby sitter e famiglie. Non sarà il caso di guardare a questi esempi e di iniziare a parlare di strumenti di vero sostegno all’occupazione femminile, che non siano solo sgravi fiscali per le imprese che assumono? Non sarebbe meglio usare quei soldi per far detrarre o meglio dedurre le spese delle baby sitter? Guardatevi intorno: chi guarda i figli delle donne che lavorano? I nonni? Gli stessi che a breve non potranno più andare in pensione. E baby sitter. A nero. Perché non conviene a nessuno assumerle: è possibile provare a proporre che la babysitter possa essere assunta O una libera professionista senza far cadere giù il mondo? E’ possibile pensare a sgravi fiscali che aiutino l’emersione dal nero del lavoro di welfare? Lo si fa con i lavori condominiali e non lo si fa per permettere alle donne di essere madri e lavoratrici.

Ieri rileggevo quanto ho detto davanti alla Camusso: la conclusione era: Non credo che il mercato del lavoro di oggi ci permetterà di essere assunti e anche se fosse, nel frattempo voglio vivere, adesso. 
E mi vengono i brividi a pensare che una scoperta bellissima, come quella di poter congelare gli ovuli in caso di cure che produrranno sterilità possa diventare, come ho letto, la soluzione per essere madri quando ci saranno le tutele per permetterselo.
Io voglio vivere, adesso.
Voglio che il sogno di quell’operaio sia, come nei paesi scandinavi, di avere la figlia dottoressa. E nel frattempo, pure di poter diventare nonno.

Ecco, era marzo, ma avevo già lo slogan giusto

1 commento:

  1. Sei la mia rappresentante del pensiero dei diritti sindacali che dovremmo avere. Io non saprei spiegare altrettanto bene. Io pago, per esempio la maternità all'Inarcassa ma non ho diritto alla paternità, non é prevista. Sacrosanto il discorso su l'orario delle riunioni all'asilo!

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